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domenica 9 marzo 2014

Il contenuto: una questione di stile

"La semplicità non è altro che una complessità risolta" scriveva lo scultore rumeno Constantin Brâncuşi. E come dargli torto, essendo riuscito a sintetizzare brillantemente, in una frase così pregna di significato, un concetto tanto illuminante.
Eppure ridurre complessità e semplicità ad una mera antitesi, ad una contrapposizione che richiede una scelta di campo non mi convince. In primo luogo perché questi termini si prestano a derive interpretative piuttosto comuni. La semplicità viene spesso associata a qualcosa di banale mentre la complessità per contro viene assimilata ad una certa profondità. Ma in realtà non c'è alcun sillogismo tra questi termini. Complessità e semplicità vanno poi messe in correlazione con i tempi. In un mondo sempre più mutevole e globalizzato, dove le informazioni crescono 200.000 volte in più della popolazione e una notizia dura meno della vita di una sigaretta, la risorsa più scarsa è l'attenzione.
Velocità ed immediatezza sembrano il nuovo paradigma della comunicazione. E ciò porta con se la necessità di ridurre la complessità, di accorciare le distanze, di contrastare la pesantezza di tutto ciò che può essere superfluo e ridondante.
Ma in tempi in cui si twitta, tagga, posta o whatsappa, in cui la complessità viene risolta con l'uso delle "k" e con un linguaggio a prova di codice fiscale, il rischio che si corre non è forse di ammalarsi di semplificazione!?!
C'è una abissale differenza tra semplicità e semplificazione, quasi come quella tra chi crea e chi duplica.
Michelangelo, arrivava a dire che “Uno scultore deve soltanto togliere da un blocco di marmo ciò che è superfluo". Bè questa immagine che descrive in modo semplice qualcosa di così mirabile come sono le sue opere, ispirate dal
"furore dell'anima", rende perfettamente il senso
dello sforzo di chi cerca di dare forma ad una propria visione, ad una idea.
Nel mio infinitesimamente piccolo, tento di fare lo stesso anch'io con la scrittura e la poesia. A metà strada tra un minatore e uno scalpellino, scavo nei pensieri e nelle pieghe dell'anima per dare un senso compiuto al mio caos.
La semplicità richiede un lavoro estenuante, arduo, meticoloso. Vuol dire fare continuo esercizio di sottrazione, spurgare le parole, non arrendersi all'ovvio, non scadere nel criptico. Vuol dire soprattutto rendersi accessibile a tutti, sfuggendo la banalità, il luogo comune, l'autocompiacimento.
E così mentre scavo, mi specchio nella poesia fino a che la poesia non mi rispecchia. Essa meglio di qualsiasi altra forma espressiva riflette la mia ambizione di anacronismo.
Nutrirmi del tempo per cercare di andare oltre. E mi piace questa sfida, l'idea di arrivare al cuore delle cose lasciando intatto il senso della loro complessità.
Per questo, nella dicotomia tra semplicità e complessità scelgo una terza via: la sintesi. Una scelta non di forma o di lunghezza. Una questione di stile.
E il mio stile è il contenuto. Dire molto, nella forma più efficace, per rispecchiarmi nell'essenza di me.


“Uno scultore deve soltanto togliere da un blocco di marmo ciò che è superfluo. La sua bellissima statua è già lì, nascosta dentro il blocco di marmo informe. Lo scultore non deve fare altro che scoprirla, togliere il marmo superfluo. La scultura è l’arte del levare”.
Michelangelo Buonarroti

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